Accade che i percorsi artistici si servano di forme estetiche diverse, sperimentando incessantemente, per rispondere a un’esigenza di comunicazione che è ragione e fine dell’arte. Nei progetti di Filippo Tolentino, in arte Tole, la realtà è riflesso che mette in risalto zone d’ombra, lasciandoci l’opportunità, sempre più rara, di interpretare e non assimilare significati già tracciati. Lo fa servendosi dei linguaggi del presente, anche quando parla di tempi e spazi apparentemente lontani, eppure legati simbioticamente a ciò che oggi siamo. Se c’è una nostalgia lo è nella poetica dell’essere umano. I personaggi sono parole, le parole immagini. Oggi vi presento le molteplici sfaccettature dell’arte di Filippo Tolentino attraverso cinque domande e risposte. Buona lettura!

  1. Identità. Chi è Filippo Tolentino, quali gli input creativi, anche casuali, cercati e non cercati, e come si manifesta il rapporto con la propria terra di origine nella produzione artistica.

Filippo Tolentino è un contenitore di personalità diverse che emergono a fasi alterne. Questi piccoli omuncoli insopportabili cercano continuamente di affermarsi, riducendo l’umanità ad un fatto molteplice, lontano dall’Uno.

Tole, invece, è ricerca di sintesi, è il tentativo di trasformare la pratica artistica in un fatto totalizzante, mai dimenticato, (per) sempre presente.

Gli input sono inesauribili: riguardano talvolta fenomeni che posso riportare al livello razionale (e che potrei tradurre qui in parole, ma evito) mentre, più raramente, si tratta di semi instillati nell’anima, afferenti a sfere energetiche più alte. Le due 

categorie citate, in realtà, sono interdipendenti e, solo nel gesto, trovano la loro comunione.

Rispetto alla terra d’origine: vive in me il suo tepore. Fredda è la morte.

  1. Figura umana e moltitudine. L’essere umano è spesso al centro della tua arte nelle sue varie declinazioni, non solo nei cortometraggi, ma anche, in altri progetti. Se penso a Pungere, l’essenzialità dei tratti confinanti con i corpi altrui restituisce un’estetica che è diretta ma anche caleidoscopica, cosa interessante, nei suoi bianchi e neri.

Alla domanda “cosa è uomo?” non si ha una risposta.

In riferimento alla figura umana, che spesso si palesa nei miei lavori, è un mero pretesto per raggiungere l’astrazione. Insistere su soggetti simili a se stessi è un ottimo metodo per ampliare la comprensione di certe forme, che a un tratto cessano di esistere e possono essere finalmente ridotte a 3 cose: punto, linea, superficie.

Quando la mano si fa tutt’uno col mezzo, e la memoria della vista sparisce, allora qualcosa viene fuori: l’arte diventa così un fatto gestuale, corporeo, al di là del punto, della linea, della superficie. È così che il fare cre-at(t)ivo supera ogni progettazione – spicciola o complessa che sia – e si avvicina alla danza, più che ad ogni altra cosa. Qualcuno ha detto: “la terra non è una sfera, è una spirale che avvolge il sole”.

Inoltre, credo sia molto importante interrogarsi sulla natura della decodifica del reale, sull’apparenza del reale. Ci sono davvero esseri umani in Pungere? Quasi tutto ciò che le nostre retine catturano, lo vediamo per metafore ed in esso finiamo per identificarci – cosa tanto riprovevole quanto inevitabile (forse). E così che un’immagine bidimensionale può trasformarsi in un idolo, oppure un video porno può provocare l’orgasmo.

(S)Ragionare sui concetti di vita e morte – che implicano quelli di trasformazione, metamorfosi e rinascita – è un’ossessione per me, letteralmente. Credo non ci sia altro. Non lo dico per essere ermetico o per giocare con categorie apparentemente inafferrabili, è qualcosa che mi coinvolge profondamente. Ho scritto (s)ragionare ma, in verità, non si tratta neppure di questo, non solo di questo: l’indagine sulle possibilità di rinascita, di fioritura dell’uomo e di risveglio è un’operazione che richiede uno sforzo non solo mentale, ma anche emotivo, sessuale, motorio. Ho cominciato forse per caso o per ragioni magnetiche, ora mi ritrovo coinvolto in un’esplorazione che mi conduce in ambiti del sapere che non pensavo d’incontrare mai e che in parte risuonano attraverso queste parole. Le acque più profonde in cui navigo non hanno niente a che fare con l’arte contemporanea in quanto sistema.

Quanto ai miei lavori: Parto è il mio primo cortometraggio, l’ho vissuto come una personale Caporetto, un naufragio nei meandri delle mie elugubrazioni. Sembrava che mi stessi immolando per qualcosa, o qualcuno. Era tutto meno incredibile di quanto pensassi. Ciononostante, ero convinto del contrario, e questo basta.

Ad Otropiel abbiamo “giocato” io e Francesco Piro, a distanza, in quarantena. È un cortometraggio che rievoca le atmosfere del mondo pre-indoeuropeo. Vi rimando al testo testo Le Dee Viventi di Marija Gimbutas. Non aggiungo altro.

 

  1. Suono, rumore, melodia. Il suono, l’elemento straniante e per nulla accomodante e accogliente, con cui interagire narrativamente, e tecnologicamente, oppure melodia, o elemento ambientale (At the cutting edge). Quale valore estetico-narrativo ha il suono, e come interagisci o scegli la dimensione sonora dei tuoi lavori?

La risposta non può essere univoca, gli intenti son diversi a seconda dell’opera e della fetta di opera che di volta in volta si prende in considerazione.

Fatta questa premessa, posso dire che spesso nei miei lavori il suono assolve la stessa funzione della figura materna, pur non avendo nulla a che fare con la consolazione. Non è inconsueto che il paesaggio sonoro abbracci lo spettatore, diventando una sorta di catalizzatore subliminale delle sensazioni.

In ogni caso, non mento se dico che spesso mi riconosco non udente. Sono davvero lontano dai suoni che mi circondano, raramente vi presto attenzione. È una parte di me che combatto quotidianamente, frutto di anni trascorsi senza mai ascoltare davvero. Questo tipo di atteggiamento, però, porta con sé dei benefici in fase di post produzione: quando mi vengono fatte ascolare certe sonorità, sintetiche o no che siano,  ho come l’impressione di ritrovarmi davanti ad un evento miracoloso. Mi sento bambino. In quello stato di coscienza, scegliere un suono piuttosto che un altro diventa un gioco.

Quando ho lavorato con PiroPiro, a Trapassato, il flusso che veniva fuori dai suoi sintetizzatori, era per me qualcosa di assurdo, impossibile, eppure reale. Ugualmente, mentre Giorgio Cuscito cantava dei testi che avevo scritto per Legno – un altro cortometraggio – la sua voce portava con sé qualcosa di angelico. In momenti come questi sento un profondo senso di gratitudine e devozione verso la Vita. Forse è la conseguenza della mia ingenuità, eppure accade.

  1. Trapassato, presente e futuro prossimo. Quali sono i progetti di Tole.

   

Ci riagganciamo involontariamente alla prima domanda, alla terra d’origine: mi sto dedicando a due documentari ambientati in Puglia.

Il primo si chiama Lumi, ci lavoro da 4 anni – ancora non so dire quando verrà ufficialmente alla luce – e racconta di Marcello Fiorentino, un giovane follemente innamorato delle feste patronali del Sud Italia.

L’altro progetto, ancora in fase embrionale, è testimonianza di un contenitore magico e sconosciuto, un museo assente dagli elenchi ufficiali e dalla conoscenza collettiva: una perla nascosta nella provincia di Bari.