Un supporto diventato uno dei simboli dell’arte pittorica che resiste al tempo e alla trasformazione di linguaggi e materiali, aprendosi alla contaminazione espressiva restando uno dei punti essenziali nell’evoluzione creativa delle arti.

La tela non è un semplice mezzo, materia, supporto. È un vero e proprio veicolo di significati racchiusi nella sua fitta trama, un’introduzione che ha consentito che l’arte circolasse e si aprisse gradualmente all’esterno. Diffusasi nel Nord Europa, più precisamente in Inghilterra e Fiandre, nel corso del XV secolo, la tela ha rivoluzionato di fatto le dinamiche di produzione e circolazione delle opere. Ha consentito agli artisti di svincolarsi dall’esclusività delle commissioni tradizionali, affreschi o tavole dalla tematica sacra, per aprirsi a una nuova committenza più laica e mondana, ricorrendo a un supporto più maneggevole rispetto al legno.

Ormai in età moderna, la nobiltà europea commissionava ritratti e paesaggi. È così che durante il Rinascimento l’uso della tela si affermò anche in Italia, dove soggiornavano pittori delle Fiandre, i quali hanno sicuramente esercitato una sensibile influenza sulla sua diffusione. Sono note alcune testimonianze e premesse storiche come la quattrocentesca Crocifissione di Donato de’ Bardi, in territorio ligure, probabilmente ispirata dall’arte fiamminga, e il San Giorgio e il drago di Paolo Uccello, ascrivibile alla metà del Quattrocento, in area fiorentina. Il territorio di diffusione della pratica della pittura su tela è quello lagunare veneziano, il cui microclima rappresentava un fattore critico per le testimonianze affrescate già presenti negli edifici dell’area.

Paolo Uccello, San Giorgio e il drago, 1460 circa, National Gallery Londra

Minori costi di produzione e facilità di trasporto si rivelarono indubbiamente delle caratteristiche chiave per la diffusione del supporto in tutta Europa. La tela poteva infatti essere arrotolata, trasportata, e poi riposta in una cornice direttamente nel luogo di destinazione.


Alla base della popolarità della tela, la diffusione in area europea e la trattatistica

 

Dalla pietra delle pareti all’interno delle grotte preistoriche, teatro di rappresentazioni e testimonianze d’arte rupestre, alle pareti affrescate dei templi in area mediterranea, alle superfici lignee di età altomedievale, si giunse così all’affermazione della tela quale supporto materiale privilegiato. È il 1390 quando Cennino Cennini, nella sua celebre opera Libro dell’Arte, descrive la tela, i processi di fabbricazione e gli utilizzi più comuni. Nel capitolo Del modo di lavorare in tela o in zendado, il “piccolo maestro esercitante nell’arte di dipintoria”, come amava definirsi il pittore Cennini, offriva indicazioni sulla preparazione della tela, la premessa tecnica per la realizzazione poi pittorica. L’imprimitura della tela è qui definita “a gesso”, una tecnica antica che consentiva tempi di lavorazione più estesi, adatta dunque a lavori complessi.

Anche il Vasari, nelle Vite, presenta il suo metodo di preparazione, manifestando una preoccupazione costante sentita dagli artisti dell’epoca, ovvero, l’esigenza di mantenere l’elasticità fisica della tela a un livello ottimale per consentire una lavorazione più agile. A proposito della tecnica di preparazione egli afferma: “Ma conviene far prima una mestica di colori seccativi, come biacca, giallolino, terre da campane, mescolati tutti in un corpo et un color solo, e quando la colla è secca impiastrarla su per la tavola: il che molti chiamano la imprimatura”.

Sempre in relazione alle caratteristiche della tela, ai materiali, e alla preparazione, è importante sottolineare che questi aspetti rappresentano ottimi elementi per la valutazione e datazione dell’opera. La tela è un indicatore importante che aiuta nello studio di una data opera in quanto il supporto veniva realizzato secondo modalità diverse nelle varie fasi storiche. Le tele ottocentesche presentano ad esempio una trama molto fine, caratteristica legata alla diffusione dei processi di filatura, al contrario delle trame più irregolari del Cinquecento. L’invenzione del telaio, inoltre, consentì di mantenere stabile la tensione della tela, migliorando la qualità dell’esecuzione artistica.

Come dimostrato dalla presenza di trattati e informazioni, anche la preparazione della tela previa applicazione del colore, subisce delle trasformazioni nel corso del tempo. Tali evidenze sono fondamentali, dunque, per fornire una visione di insieme dell’opera, della sua storia e del suo contesto di realizzazione.

 

C’è ancora spazio per la tela? Arte contemporanea, tradizione e sperimentazione

Agli inizi degli anni Sessanta, in Italia, si avvia una fase di produzione artistica segnata da un rinnovamento di linguaggi e consapevolezze, che conduce allo sconfinamento dell’arte oltre la superficie della tela. L’arte entra nella vita, nel suo tessuto sociale, si avvicina al suo pubblico, dando vita a nuovi scenari e linguaggi espressivi.

È lo stesso concetto di opera ad essere rivoluzionato. Emblematica è la XXXVI Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia del 1972 con il suo titolo “Opera o comportamento”, che vede la partecipazione di due curatori distinti (Francesco Arcangeli, Renato Barilli) che corrispondono a due approcci diversi all’azione artistica: il primo più tradizionale incentrato sulla presenza della tela, l’altro più innovativo e aperto a nuovi modi di creazione artistica. Certamente, in quegli anni si va definendo una nuova visione tanto della ricerca creativa ed espressiva che della figura e del ruolo dell’artista, ma ciò non sempre porta a un rifiuto categorico del supporto tradizionale, il quale viene spesso inserito in un contesto di sperimentazione pittorica più innovativo e contemporaneo.

La tela allarga anche i suoi confini simbolici. Alberto Burri, ad esempio, si fa portavoce della necessità dell’arte di inglobare al suo interno il concetto di spazialità, sottolineando il valore della materia all’interno della realizzazione dell’opera, e dunque del fare artistico. Si crea un legame profondo e tangibile con l’esistenza concreta che si estende oltre i limiti della tela, la cui superficie accoglie i materiali più svariati tra cui plastica o iuta, superandone concretamente la bidimensionalità.

Anche i lavori di Michelangelo Pistoletto mostrano una direzione netta nel voler affrontare il tema della tridimensionalità dell’arte, attraverso opere che riflettono la vita stessa, e la sua dimensione quotidiana. Assoluto e relativo si incontrano nei suoi Quadri Specchianti (1964) che diventano accessi, soglie, e varchi tra la realtà e una dimensione altra, e dove lo spettatore, con la sua presenza, completa l’opera, amplificando in questo modo lo spazio e il tempo del “quadro”.

Michelangelo Pistoletto, Uomo in piedi (Standing Man), 1962, Tate Gallery

 

E il tempo entra anche nella ricerca di Gilberto Zorio, la cui opera Tenda dipende da questo concetto. Una tela, dell’acqua salata che il telone assorbe, e un alone a testimonianza di quanto accaduto, sono gli elementi chiave per comprendere un’opera la cui fruizione è legata al tempo e al divenire, ed è proprio il tempo ad attribuire significati al lavoro.
Ancora, Giulio Paolini, in Giovane che guarda Lorenzo Lotto, il riferimento all’opera del celebre artista del Rinascimento veneziano conduce a una riflessione sul ruolo dell’artista e del soggetto. L’opera è di fatto una fotografia su tela emulsionata, firmata e datata su telaio al 1967, e proprio la fotografia è il linguaggio o dispositivo oggettivo che garantisce l’esistenza di un certo frangente temporale, mentre, la citazione a un’opera del passato consente all’artista di superare la sua esistenza determinata e specifica per accogliere l’io di tutti i pittori, superando dunque il ruolo specifico per assumere un’identità storica.

Lucio Fontana, Quattro tagli rosso, 1966

Celebri sono poi i “tagli” delle opere realizzate da Lucio Fontana. La tela si apre alla tridimensionalità attraverso l’intervento fisico dell’artista materializzato dall’apertura nella superficie e intercettando lo spazio. L’opera è così concepita come materia su cui intervenire, e come dimensione da oltrepassare, esteticamente e simbolicamente.


Oltre la tela. La tela Nartist, un’opera in divenire

 

Quella della tela è una storia non solo artistica, ma è la storia di una tecnica, di una tradizione, di sperimentazione che si evolve nel tempo, accompagnando processi creativi e culturali. Si potrebbe affermare che la tela possieda contemporaneamente un valore artistico e storico. Una tela è il simbolo di espressioni pittoriche entrate nelle radici culturali del nostro tempo, e tutt’oggi, un veicolo di significati, testimonianze di relazioni, processi e viaggi, contaminazioni e innovazioni. La tela continua a rappresentare il punto di avvio materico per numerose sperimentazioni contemporanee, resistendo al passaggio del tempo, accogliendo all’interno del suo campo, la presenza dell’opera.

La tela è arte in divenire che attiva processi e sinergie. Una consapevolezza che oggi è al centro della filosofia Nartist, in un’ottica di sviluppo di dinamiche virtuose e innovative, per instaurare una visione dell’arte che è al tempo poetica e sociale, creativa e attenta alle potenzialità insite in ogni territorio, e negli agenti che in esso intervengono. Sono gli artisti, i cittadini, le imprese, le istituzioni, le associazioni del territorio che attivano il processo, rendendolo sempre in progress, e aperto a raccogliere e comunicare non uno ma i molteplici valori dell’arte.

Sono sempre maggiori le necessità del sistema dell’arte. È per questo che la tela Nartist racchiude nelle sue piccole dimensioni un modello di sviluppo sostenibile, che consente all’arte, proprio come avveniva tradizionalmente, la sua circolazione all’interno dei territori, e la trasmissione del cuore poetico della creazione e del gesto artistico, indipendentemente dai materiali, e dall’idea di partenza.

L’arte è relazione e interazione, nella sua dimensione partecipativa, e consente di attivare un cambiamento, conducendo sempre a un’esperienza che entra nel campo della riflessione, migliorando di osservare il mondo circostante, riappropriandoci dei suoi dettagli.

L’arte è creazione, impulso, fermento, essenza e traduzione della vita soggettiva quanto di quella interpersonale, di quella rete di relazioni e scambi, fluida e libera, che passa attraverso lo sguardo. Una visione che è frutto di percezione e di sensibilità, un atto che produce materiale emotivo, alle volte onirico, e astratto, altre più realistico e figurativo, ma costantemente connesso a quel mondo e a quelle necessità proprio dell’io-soggetto che fa esperienza della vita, e tenta di ordinarlo in una delle sue possibili forme.

Una piccola tela può quindi diventare apertura, chiave, finestra verso molteplici mondi basati sull’esperienza e sulla condivisione. Uno spazio accogliente, che riceve la materia e l’opera nella sua superficie, estendendo e potenziando le relazioni tra l’opera e lo spazio, e tra queste e lo spettatore, essere umano che si affaccia a questa dimensione, ricevendo a sua volta informazioni emozionali e simboliche. Una tela dalle piccole dimensioni che collega la poetica dell’artista alla poetica dell’anima.